Quei giovani senza partito
di Maurizio Ferrera
via Corriere della Sera
In tutti i Paesi europei si osserva oggi un declino della partecipazione al voto, soprattutto da parte dei giovani Millennials. I dati delle elezioni politiche del 2022 e delle recenti regionali in Lazio e Lombardia confermano questo trend anche per l’Italia. Una democrazia che perde la voce dei suoi giovani è malata, soffre
di un deficit di rappresentanza che può eroderne le stesse fondamenta.
Perché questo silenzio elettorale dei giovani? Cerchiamo di capirne
le ragioni. I dati Eurobarometro forniscono un primo indizio importante: astensionismo non è sinonimo di alienazione. I giovani che non manifestano alcun interesse per la politica sono appena il 10% nella classe di età 16-30 (il dato italiano coincide con la media europea). Tutti gli altri si dicono, in generale, interessati. Il problema è che molti di loro (il 40%) non considerano il voto come uno strumento efficace per far sentire la propria voce. Preferiscono impegnarsi in manifestazioni o movimenti di protesta, petizioni o contatti diretti con politici e amministratori. Il canale di gran lunga privilegiato è Internet. Questa sembra essere la forma di partecipazione prediletta e spesso esclusiva: chattare di politica, postare messaggi, lanciare o contribuire a blog e così via. Ad essere in crisi è dunque la partecipazione politica «istituzionale», quella che in passato era addirittura obbligatoria: il voto.
I giovani stanno sperimentando una nuova forma di cittadinanza politica: dalla figura dell’elettore che si esprime a cadenze prestabilite al «netizen» (da net e citizen), il cittadino in rete, che partecipa online anche ogni giorno.
La diffusione di Internet è stata da molti salutata come il mezzo per ravvivare la democrazia diretta (pensiamo ai Cinque Stelle). Ciò che sta avvenendo nel mondo giovanile è però cosa diversa: l’emergenza di una «bolla» di espressione democratica solo virtuale. Teniamo presente che anche la maggioranza dei giovani che votano dichiarano che le loro fonti principali di informazione sono i social media e i siti web. La televisione è indicata solo dal 34%, la radio dal 20%, la carta stampata (giornali e riviste) dal 14% degli intervistati. In altre parole, anche quando non è l’unico canale di partecipazione, la sfera online esercita effetti molto importanti su quella offline.
Si tratta di una tendenza preoccupante. Su Internet, come è noto, circola di tutto, comprese molte fake news. Se si naviga senza bussole è alto il rischio di essere fuorviati o ingannati. I social sono diventati brodo di coltura della politica «negativa», quella che si focalizza solo sulla contrapposizione, e vede dappertutto cospirazioni e nemici da combattere. Col risultato di alimentare una crescente sfiducia nelle istituzioni, comprese appunto le elezioni.
Si produce così un circolo vizioso. Molti giovani non votano, pochi si candidano o vengono candidati, ancor meno vengono eletti. Il deficit di rappresentanza accresce ulteriormente il peso politico degli anziani, già connesso all’invecchiamento demografico e al fatto che l’astensionismo tende a diminuire con l’età. I politici sono tenuti a rispondere a chi li vota. Il silenzio dei giovani induce così il predominio del breve periodo, l’enfasi su provvedimenti che distribuiscono benefici ora (quelli che avvantaggiano i più anziani) possibilmente stornando i loro costi verso il futuro. Ci sono voluti i soldi e i controlli europei per dare finalmente avvio a una fase di investimenti economici e sociali di lungo periodo, a vantaggio dei giovani e delle generazioni future.
Come contrastare l’allontanamento dei giovani dal voto? I dati Eurobarometro segnalano che entrare e restare nella bolla della partecipazione online non è necessariamente una scelta. Riflette anche l’insicurezza a misurarsi con le interazioni del mondo reale oppure la mancanza di stimoli alternativi. Quando si chiede loro perché non partecipano di più, un gran numero di giovani confessano di «non sapere come fare». Il che presumibilmente significa che non sanno bene come muoversi all’interno dei canali offline, tipo avvicinarsi o iscriversi a una organizzazione politico-culturale, a un movimento d’opinione, a un partito. E colpisce soprattutto il fatto che molti dicano «nessuno mi ha mai contattato», nessuno ha cercato concretamente di coinvolgermi. Mancanza di competenze e di incentivi, insomma. Segnale di un deficit di attenzione e di azione da parte di quegli attori e istituzioni che dovrebbero socializzare i giovani alla cultura e alla pratica della cittadinanza democratica. Il deficit riguarda la scuola innanzitutto: meno del 15% degli intervistati dice di ricevere stimoli e informazioni su questioni di interesse pubblico dai professori, pur tenuti per legge ad «educare alla cittadinanza». Dovrebbero tuttavia attivarsi anche i mass media di qualità, le associazioni culturali e di rappresentanza. E non da ultimo i partiti, che ne avrebbero tutto l’interesse. Non solo per guadagnare voti, ma soprattutto per non sparire del tutto.